In memoria di Pinuccio Sciola

 
 
Il mondo della cultura è in lutto per l’improvvisa scomparsa dello scultore Pinuccio Sciola.  L’artista che ha portato la Sardegna nel mondo. Rimangono i semi sparsi nei prati, le spighe, le terrecotte, i murales. E le sue pietre che suoneranno in eterno. 


“Le pietre sonore di Pinuccio Sciola hanno il potere di suscitare in noi l’equivalente d’un evento sacro; o almeno di un evento dove il fattore simbolico s’incarna in un’opera che – prima di essere dell’uomo – è del creato (o, forse, del Creatore)”. Scrive Gillo Dorfles dell’artista conosciuto in tutto il mondo per aver dato voce alle pietre ma che sarebbe riduttivo ricordare solo per questo. Pinuccio ha dato vita al primo museo a cielo aperto in Sardegna coinvolgendo soprattutto i giovani e divulgando la sua conoscenza attraverso una scuola di scultura, workshop e diversi festival ma anche negli incontri occasionali. Poliedrico e sperimentatore si è formato all’Accademia di Salisburgo e ha avuto maestri come Siqueiros, Kokoschka e Vedova. “Ci vorrebbe una festa, come quella che si fa ai Santi. La festa di Sant'Arte, l'unica festa del calendario da festeggiare e santificare tutti i giorni dell'anno perché è l'unica che salva l'uomo dall'appiattimento mentale.” La sua casa a San Sperate era sempre aperta. Raccontava i suoi aneddoti intanto che offriva da bere e preparava da mangiare, prima di condurre gli ospiti a visitare il suo giardino di pietra. Il parco di sculture megalitiche creato nel corso degli anni dopo aver ricoperto di murales il suo paese natio. Perchè Pinuccio viveva d’arte e per l’arte. Semplice e diretto, aveva un cuore grande e amava i giovani e la vita. Ma a 74 anni un male oscuro se l’è portato via, lo stesso male che aveva sconfitto 7 anni prima e che è ritornato più potente che mai a consumarlo in pochi giorni.
 

“Quel che la pietra può dire di sé, non è solo la vicenda eruttiva che l’ha fatta emergere dalle profondità della terra, ma è anche, e soprattutto, il suo provenire da un altrove astrale, il suo aver viaggiato per tempi e spazi che la nostra immaginazione a stento riesce ad ipotizzare.” Ha fatto sue le parole di Placido Cherchi perchè nelle pietre vedeva il mistero dell’intero universo. Come uno sciamano le accarezzava dolcemente, nonostante le mani forti e ruvide, e protendeva l’orecchio per ascoltarne il suono, quel canto che solo lui era riuscito a far emergere da quella materia apparentemente inerme e ancestrale. Sembravano piovute dal cielo quelle che ha disseminato nel piazzale della chiesa di San Francesco ad Assisi, mentre quella monumentale scelta da Renzo Piano per il Parco della musica a Roma si innalza tutt’ora in tutta la sua solennità, così come fecero le Colonne Infinite nella basilica di San Saturno a Cagliari. E quando ha potuto suonare a Santa Croce, davanti alle spoglie di Michelangelo, si è commosso e ha confessato d’avere vissuto l’emozione più grande e più intensa della sua vita. 
 

Le sue pietre, quelle a cui ha catturato l’anima, sono arrivate dappertutto: Berlino, Avana, Budapest, Parigi, Città del Messico, Barcellona, Stoccarda, Shanghai ecc. Solo la Sardegna non l’ha mai riconosciuto e celebrato abbastanza - basti pensare che nessuna istituzione gli ha dedicato un’antologica - quando non è stato offeso, come è successo per il murale di Piazza Repubblica, scalpellato e cancellato dopo trent’anni a sua insaputa per ristrutturare la palazzina che lo ospitava. E’ stato, infatti, motivo di stupore quando è arrivato l’invito da parte del Teatro Lirico per la realizzazione delle scenografie per la Turandot. La Turandot più vista a Cagliari.
“Le mie sculture per ora sono qui, nei luoghi in cui le ho piantate perché mettessero radici e tornassero a vivere. Un giorno che non conosco, spero tornino all’Universo che le ha generate.” Quelle pietre dalle note primitive, dalle vibrazioni che alterano lo spazio sonoro, che producono sibili ed echi che sembrano provenire dalle viscere della terra, ora suoneranno qui per te. In eterno.

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