Intervista a Giovanni Coda



Fotografo, videoartista e filmaker cagliaritano, Giovanni Coda ha all’attivo 45 opere video, numerose serie fotografiche e progetti installativi esposti in Italia e all’estero. Vanta, inoltre, collaborazioni con artisti, musicisti e scrittori e il suo primo lungometraggio “Il Rosa Nudo” è stato presentato alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia come Evento Speciale. Tra documentario e videoarte, l’opera cinematografica è il primo atto di una trilogia sulla “violenza di genere” che ricostruisce gli orrori nazisti nei confronti degli omosessuali.

Come nasce Giovanni Coda regista?
Nel 1989 quando chiesi ad un’amica di prestarmi la sua nuovissima videocamera Philips Vhsc per fare degli esperimenti video usando come base il testo di un racconto che avevo appesa scritto: “Rimane la paura del dopo…”. Quegli esperimenti diedero vita alla mia prima videoinstallazione teatrale dal titolo “Ne Varietur” che si tenne al Teatro dell’Arco.

Cosa t’interessa della realtà che ti circonda?
Tutto, sono abbastanza curioso. I temi sociali però sono quelli che maggiormente, da sempre, prediligo. Le tematiche GLBT in particolare, anche se adesso sto lavorando al nuovo film che analizza  il tema della violenza sulle donne.

Chi ha influenzato maggiormente la tua formazione?
Sono molti i miei riferimenti artistici formativi, ma dovendo fare una rosa di nomi, nell’ordine metterei Oscar Manesi, Ana ed Helga de Alvear, Mario Merlino, Gianni Toti, Leonardo Carrano, Fulvio Wetzl. Tra registi cinematografici sicuramente Greenaway,  Jarman, Lynch e Pasolini.

Da cosa nasce l’idea del tuo ultimo film “Il rosa nudo”?
Dalla ricerca di materiale letterario sull’Omocausto. Su internet sono entrato in contatto con alcune note tradotte dal libro di Pierre Seel rimanendo sconvolto dalla sua storia. Era il 2007, non ho ancora finito quella ricerca e tra qualche mese pubblicheremo la prima traduzione ufficiale in italiano di quella biografia.

Ci racconti brevemente la trama?
Pierre Seel è un ragazzo alsaziano di 17 anni quando viene arrestato, in quanto omosessuale, e deportato nel carcere di concentramento di Schirmeck. In questo stesso campo è costretto ad assistere all’omicidio del suo compagno Jo che viene divorato dai cani lupo in mezzo alla piazza principale del campo. Il resto della storia termina con la morte di Seel nel 2005, dopo aver ottenuto il riconoscimento dallo Stato francese quale Vittima di Guerra, vittima delle deportazioni omosessuali.

Quanto c’è di autobiografico?
Nulla. Racconto la vita di uomo con cui non potrei mai identificarmi visto l’esperienza da lui vissuta. Io posso solo immaginare quanto accadde a Pierre Seel e solo questo basta per consumarmi in un dolore infinito. 

Ricordi qualche particolare aneddoto durante le riprese?
Si, tutti gli attori hanno recitato senza conoscere il copione, conoscevano la storia nel suo insieme ma hanno recitato senza sceneggiatura, senza una parte precisa. Quando lo racconto nessuno ci crede.

Hai avuto difficoltà in merito alla distribuzione nelle sale?
Il film non ha trovato alcuna distribuzione. Nonostante il 28 febbraio venga proiettato per la quarta volta negli Stati Uniti in finale al Macon Film Festival ed abbia vinto come miglior film il Social Justice Film Festival di Seattle. Ho appena concluso il Tour della Memoria che mi ha portato in giro per l’Italia, e forse qualcosa comincia a muoversi.

Quali criteri adotti per la selezione degli attori?
In linea di massima faccio sempre un casting ma alla fine, oltre a questo, chiamo personalmente attori e attrici che ritengo possano avere un ruolo in un mio film.

Quanto spazio lasci all’improvvisazione?
Per quanto riguarda il Rosa Nudo lo spazio andava dal niente all’infinito. L’improvvisazione è comunque una parte fondamentale del mio lavoro.

In genere intervieni sul lavoro del direttore della fotografia?
Curo personalmente tutti gli aspetti fotografici dei miei film e conto di curarli anche per i prossimi lavori. Una nota su questo punto è che per Il Rosa Nudo non si sono adoperate luci artificiali. Il film è fotografato esclusivamente con luce naturale.

Il film che ti ha cambiato la vita
“ll cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” di Peter Greenaway visto a Cagliari al cinema Capitol, e guarda caso era il 1989!

Qual è lo stato dell’industria cinematografica isolana?
Non lo so. Io non sono considerato fra i cineasti che compongono l’industria del cinema sardo e pertanto preferisco, nonostante sia affascinato da questa posizione che la critica e i miei stessi colleghi hanno nei confronti del mio lavoro, lasciare agli “esperti sardofoni” questo genere di valutazione.

A cosa lavori in questo momento e quali sono i progetti futuri?
Due film nuovi che usciranno nel 2014 entrambi. Uno sul femminicidio, come ho accennato prima, in collaborazione con il centro antiviolenza Donna Ceteris e l’altro, che chiude la trilogia sulla violenza cominciata con Il Rosa Nudo, ispirato alla storia di Jamey Rodemeyer, l’adolescente di Buffalo che dopo aver fatto “coming out” si è tolto la vita sopraffatto da atti di bullismo scolastico e soprattutto sopraffatto dall’indifferenza di una società sempre più violentemente distratta e confusa.

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